giovedì 26 novembre 2009

Sughero o punta dell’iceberg: il peso specifico delle fotografie

La fotografia è troppo facile, troppo veloce, chiunque con le macchine digitali automatiche di oggi è in grado di farla! Verissimo! Ma che peso specifico hanno le fotografie di chi non ha cultura, visione, di chi -come cantava Ivano Fossati- “non ha giudizio”. Cosa c’è dietro una fotografia se non la storia o la non-storia di uno sguardo? Ecco l’immagine fotografica: la punta dell’iceberg, o un sughero galleggiante? La superficie misteriosa del mare o una semplice pozzanghera? E poi parafrasando Lucio Dalla quant’è profondo il mare? Qual’è il valore o il peso specifico di una fotografia? Secondo il modesto parere di chi scrive il peso specifico dipende in primo luogo da chi questa immagine l’ha fatta, poi da cosa rappresenta, dove, come e perchè è stata fatta, e poi da strane favorevoli, misteriose circostanze che ne detrminano la sua storia successiva e dai rapporti che questa immagine tesse e tesserà nel tempo con tutte le altre immagini dello stesso autore e degli altri fotografi: contemporanei, precedenti, successivi. Diceva Luigi Ghirri che le nuove fotografie cambiano il modo di vedere quelle vecchie. Verissimo! Mentre altri hanno notato come un fotografo in genere viene alla fine ricordato per poche immagini, che sono poi quelle veramente importanti. In ogni caso una volta nata una fotografia ha una sua storia e i propri itinerari, troppo spesso indipendenti da quelli del suo autore... Giusto così! Impariamo quindi nel valutare le fotografie a “sentire”, al di là del gusto personale e delle appartenenze culturali, il loro peso specifico. Ma chi può realmente farlo con la dovuta competenza? Diceva lo storico e critico della fotografia Diego Mormorio, alla recente presentazione di un suo libro rispondendo ad un giovane che gli domandava un po' ingenuamente come si fa a giudicare quando una fotografia sia bella, che per giudicare la fotografia bisogna innanzi tutto averla a lungo frequentata e praticata. Sono assolutamente d’accordo con lui: la capacità giudizio ha bisogno non di facili ricette, ma di cultura, competenza, sensibilità maturate lentamente nel tempo. Solo in questo modo uno sguardo educato, consapevole e sensibile è in grado di valutare correttamente una fotografia e il suo autore, di sentire se si tratta di un iceberg o di un sughero galleggiante sulla superfice dell'acqua, di sondare la profondità del mare o annusare il tanfo di una pozzanghera sporca. In apertura di questo articolo: Sandro Bini, Senza titolo (1996).

3 commenti:

Roberto Baglioni ha detto...

Il problema, o forse si potrebbe anche dire il fascino della fotografia, la sua ambiguita’, sta anche nel fatto che spesso il risultato finale del fotografo improvvisato e ingenuo sia indistinguibile da quello del fotografo artista che produce un’immagine in piena consapevolezza.
Insomma mantenendo la metafora, che il sughero non sia per niente distinguibile dalla punta dell’iceberg. Questo e’ tanto piu’ vero quanto piu’ si prenda in considerazione la foto artistica nella quale spesso gli autori copiano volutamente gli errori o comunque i soggetti dimessi o triti di certi fotografi occasionali.
Mi e’ capitato di vedere proprio recentemente le foto di Maya Dickerhof e i suoi album di famiglia con foto sbagliate, esposte male, arti tagliati e volti nascosti o in ombra o sfuocati.
Ma allora dove sta la differenza? O anche: perche’ certi fotografi ci sottopongono foto cosi’ anonime che sembrano scattate a caso?
Penso che la differenza stia soprattutto nella serie fotografica. Mentre la foto singola puo’ anche trarci in inganno, o perche’ vediamo una coincidenza particolarmente fortunata del dilettante o l’understatement voluto dell’artista, nella serie le cose si aggiustano, perche’ il fotografo consapevole si mantiene coerente con la sua poetica ed e' in grado di replicare un certo tipo di scatto, mantenendo sia il livello emotivo che il linguaggio formale. Quindi la mia idea e’ che una foto si possa anche giudicare per quello che e’, ma che un giudizio piu’ avvertito abbia bisogno di collocare l’immagine nel contesto piu’ ampio del lavoro dell’autore. Insomma e' andando in profondita’ che si puo' vedere cosa c'e' sotto, se un iceberg o il nulla.

Michelangelo ha detto...

Mi trovo in accordo con entrambi i vostri pensieri in quanto ritengo che lo studio della fotografia debba avvenire attraverso lo strumento della pratica fotografica atta a conoscere il fotografo ed il tema fotografico nella sua intierezza. La valutazione di un singolo scatto senza la conoscenza dell'autore e senza la conoscenza ancor più importante della fotografia comporta l'emissione di un giudizio puramente formale fondato su valutazioni estremamente formali/estetici e mancante quindi di una reale analisi di cosa effettivamente si vuole rappresentare con l'immagine. Ecco quindi che la conoscenza della serie e la pratica della fotografia permettono una analisi dello scatto più approfondita, più "sincera" e realistica rispetto ad una valutazione fondata esclusivamente su basi estetiche e formali

Ylenia ha detto...

E' un po'come l'antico conflitto della guerra analogico-digitale. Prima i veterani della pellicola tacciavano il digitale di attentare alla fotografia e alla sua parte più vera, la manualità; ora che il digitale ha dato vita ad una nuova era, e la minoranza dei "pellicolisti" sta per diventare una specie in via d'estinzione, il dilemma si è trasferito sul fotoritocco o non fotoritocco. E se fotoritocce deve essere, come bisogna che sia. Certo la conoscenza dei software oggi a disposizione di tutti dovrebbe essere approfondita, al fine di non rovinare l'essenza stessa della foto, e non contaminare lo stile scelto da chi l'ha scattata. Il fotoritocco dovrebbe essere uno strumento e non sostituire un linguaggio; nel momento in cui diventerà esso stesso un linguaggio allora non si potrà più parlare di fotografia, perché l'immagine la farà il computer. In conclusione saper padroneggiare uno strumento di revisione e correzione della fotografia costituisce un vantaggio per quest'ultima quando si è ben consapevoli dei limiti dell'uno e dell'altra.